Qualcosa sulla scrittura

avt_vladimir-nabokov_266
Vladimir Nabokov

C’è qualcosa di magico e divino nella scrittura, qualcosa che espira spiritualità e sacralità insieme.

Il rispetto e la mitizzazione dello scrittore classico, dalla popolarità indiscussa, supera quelli riservati ai grandi pittori, ai musicisti o ai fotografi di fama mondiale. Perché lo scrittore genera un mondo popolato da personaggi che divengono quasi tangibili, creature in carne e ossa per il lettore, nei quali immedesimarsi e ritrovarsi oppure odiare quando rappresentano il male contro cui lottiamo ogni giorno. Perché il mondo che ci dipinge lo scrittore è vivo, è una dimensione parallela, passata, presente o futura ma è vita, vita in cui tuffarsi e riaffiorare con delle risposte in pugno e l’unico mezzo per ritornare sui nostri passi e riassaporare i momenti che ci hanno donato emozioni, parola per parola, semplicemente sfogliando qualche pagina.

Perché un libro ci parla, sempre. Possiamo rileggerlo 100 volte ma 100 volte scopriremo qualcosa, troveremo nuovi spunti, sfumature e colori vergini, anche delusioni e abbandoni che non avremmo sospettato, o domande che ci sembravano inutili che invece assorbono importanza all’improvviso. Un libro è un terreno eterno su cui passeggiare e conserva sempre qualche angolo inesplorato tra le parole che lo popolano.

Certe volte mi sono innamorata perdutamente di un libro. Ricordo che a 20 anni lessi Lolita di Nabokov e l’adorai. La passione cieca e malata che divora il romanzo mi si infilava tra i pori della pelle, era un abisso in cui godevo a smarrire ogni luce di razionalità e logica. Non perché la condividessi (ovviamente no) ma perché tutta quella tragica profondità mi mandava in estasi.

Qualche mese fa l’ho ripescato da un cumulo di libri nella mia libreria, un librone logoro ormai e dalla rilegatura vissuta, graffiato in più punti e scolorito dalle mie mani di 20 anni fa. So quanto mi abbia influenzato e quanto mi abbia cambiato, eppure, rileggendolo, non ritrovavo più quell’ardore nelle pagine ingiallite e tutto quel sentimento riposava ormai lontano da me, mentre vedevo chiaramente il male e l’insalubre che giaceva come un morto tra i personaggi del romanzo.

Rileggerne pezzi mi ha ugualmente emozionato, mi ha ridestato tanta voglia di scrivere della crudezza del mondo. Non faccio parte della maggioranza, ahimé, che legge aspettando un lieto fine (ho lanciato un sondaggio su Twitter un paio di giorni fa, sull’argomento) e di conseguenza neppure quel che scrivo tende in quella direzione, non sempre almeno.

Lolita raffigura una società superficiale, esile nello spessore umano, e per questo cruda e crudele. 60 anni fa, ma potrebbe essere anche adesso. Questo è il potere dello scrittore…

Lascia un commento